Il settore dell’acqua in bottiglia in Italia non conosce crisi: un giro d’affari stimato intorno ai 10 miliardi euro all’anno basato su un bene primario, vitale e da preservare.

Un bene comune così prezioso, una risorsa che avrebbe bisogno di una gestione attentissima, continua ad essere svenduta per pochi euro al litro ad esclusivo vantaggio di chi la gestisce.

Le aziende pagano canoni che raggiungono al massimo i 2 millesimi di euro al litro (un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia). In Italia ci sono oltre 260 marchi distribuiti in circa 140 stabilimenti che imbottigliano gli oltre 14 miliardi di litri necessari per garantire l’esorbitante consumo pro-capite nostrano (206 litri annui), che fanno dell’Italia il primo Paese in Europa e il secondo nel mondo (dietro solo al Messico) per consumo di acqua imbottigliata, stando a i dati forniti da Censis.

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In occasione della giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo Legambiente e Altreconomia hanno presentato il dossier “Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana” sulla non sostenibilità dell’attuale modello di gestione della risorsa idrica, le carenze strutturali e la pesantissima impronta ambientale legata alla filiera dell’acqua in bottiglia

Un dossier da leggere con attenzione per prendere consapevolezza della necessità di una svolta non solo nel nostro stile di vita ma anche nella gestione della risorsa: è dal 2008 che Legambiente chiede che la concessione di beni comuni naturali e di pregio venga sottoposta ad attente regole di assegnazione e gestione, nonché a canoni adeguati in modo da evitarne abusi nell’utilizzo e rendite per pochi.

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Da questi presupposti nasce la proposta di Legambiente e Altreconomia di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro/metro cubo (equivalente ad appena 2 centesimi di euro al litro imbottigliato – dieci volte superiore ai 0,2 centesimi attualmente corrisposti) che permetterebbe di passare dagli attuali 18 milioni di euro incassati in totale dalle Regioni ad almeno 280 milioni di euro; una cifra che, seppur sempre di molto inferiore rispetto al fatturato delle aziende imbottigliatrici (2,8 miliardi di euro) e al costo di vendita al pubblico, non andrebbe ad incidere sulle tasche delle aziende e sarebbe invece utile a incrementare le entrate per le regioni, da reinvestire in politiche e interventi di tutela della risorsa idrica.

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